“Farlo apposta” o “farlo a posta”? Come si scrive? Se siete sicuri che soltanto un'alternativa tra queste sia quella giusta, vi sba...
“Farlo apposta” o “farlo a posta”? Come si scrive? Se siete sicuri che soltanto un'alternativa tra queste sia quella giusta, vi sbagliate di grosso. Entrambe le forme, infatti, sono corrette, anche se soltanto una gode di "maggiore prestigio", essendo quella più antica. Lo studio di "a posta", tra l'altro, ci permette di fare alcune riflessioni su due fenomeni linguistici: il "raddoppiamento fonosintattico" e l'"univerbazione".
Prima di tutto, però, rispondiamo alla domanda, con riferimento anche a ciò che riporta il sito ufficiale dell’Accademia della Crusca: si può scrivere sia "farlo apposta" sia "a posta", pur essendo molto più diffusa la prima forma, quella univerbata. "Farlo apposta", dunque, è nato dopo "farlo a posta", dall'unione della preposizione semplice "a" alla parola "posta".
Tecnicamente, si dice che c'è stata univerbazione; due parole prima autonome, infatti, si sono unite in un'unica (es. "a posta" -> "apposta" oppure "in vece" -> "invece" o anche "palco scenico" -> "palcoscenico"). In diversi casi, sono accettate entrambe le alternative (basti pensare al nostro); in altri, invece, no (si pensi, per esempio, alla locuzione preposizionale "all’oscuro": molti scrivono *allo scuro, ma sbagliano).
Perché allora p è doppia e non scempia? La risposta, in questo caso, sta in quello che definiamo "raddoppiamento fonosintattico", fenomeno sul quale ci siamo abbondamente soffermati parlando di "a volte": a ha agito sulla parola successiva, come molte altre parole, raddoppiandone l'iniziale; ecco perché scriverete "farlo apposta" e non *farlo aposta.