Giambattista Vico, l'autore di una Scienza Nuova che è passata alla storia, è nato a Napoli nel 1668 in quel periodo glorioso per l...
Giambattista Vico, l'autore di una Scienza Nuova che è passata alla storia, è nato a Napoli nel 1668 in quel periodo glorioso per l’umanità che ha preso giustamente il nome di Illuminismo. Al contrario di quello che alcuni possono credere, però, Vico non può essere considerato un illuminista a tutti gli effetti - come lo era per esempio Voltaire - ma è, proprio come Jean-Jacques Rousseau, un illuminista atipico: se è vero che condivide i problemi e le aspettative dell’Illuminismo, è anche vero che ha palesato i conflitti interiori della filosofia dei lumi, ricercando, quindi, nuove soluzioni ai numerosi dibattiti dell’epoca; e le soluzioni, lui, le ha trovate.
Qual è il rapporto tra la razionalità e le altre facoltà dell’essere umano; come si è sviluppata la società e perché molti popoli hanno avuto caratteristiche simili – se non uguali, in alcuni casi – fra loro, pur vivendo in zone del pianeta diverse; come è possibile comprendere veramente la storia: interrogativi, questi, che il filosofo napoletano non ha mai abbandonato, tanto da riuscir a giustificare chiaramente i suoi ben costruiti ragionamenti delucidativi.
Per dare una risposta a tutte le sue domande, Giambattista Vico ha utilizzato un metodo preciso, senza il quale non avrebbe potuto far altro che perdersi in una babele di mezze-verità ; il metodo vichiano non si rifà né a quello degli antichi greci e latini né a quello moderno di impronta cartesiana, ma ad entrambi: l’uno deve servire all’altro, senza prescindere dal "dubbio metodico" di Cartesio.
Questo strumento inedito di conoscenza si basa su due elementi principali, la critica e l’analisi: la prima permette di intraprendere il cammino verso la conoscenza a partire da un "vero indubitabile" ("Dio come primo vero"); la seconda, invece, ha la funzione di estendere l’analisi geometrica (intesa come l’unico modo per raggiungere il verum) a tutti i campi del sapere esistenti, così da annullare ogni traccia di dubbio.
Un metodo, questo, che avrà importanza notevole nel campo della filologia, della quale lui, nel De constantia iurisprundentiae, dà la seguente definizione:
“La filologia è lo studio del discorso e la considerazione che si rivolge alle parole e che ne tramanda la storia spiegandone le origini e gli sviluppi. In tal modo essa ordina i linguaggi a seconda delle epoche, per comprenderne le proprietà , le variazioni e gli usi. Ma siccome alle parole corrispondo le idee delle cose, è alla filologia che spetta anzitutto il compito di comprenderne la storia delle cose”.
In altri termini, Vico ha intenzione di usare la filologia per indagare sui primordi dell’umanità , cioè per costruire, analizzando la maniera in cui si esprimevano gli uomini antichi, la trama ideale della nostra storia.
Il filosofo comincia dallo studio dei miti, gli scritti di quelle popolazioni che iniziarono ad avere, per la prima volta, vera confidenza con la scrittura; coloro che impararono a mettere per inscritto, seppur in maniera semplicistica, i loro pensieri. Facendo ciò, vuole mettere in evidenza un assunto che per molti sarebbe da scartare a priori, forse non proprio giustamente: la mitologia non è il frutto di pochissimi uomini di genio, ma di interi popoli antichi, i quali comunicavano con un linguaggio poetico, proprio con quel linguaggio che si trova in quei racconti fantasiosi.
A noi interessa principalmente questa parte del pensiero di Giambattista Vico, che rientra a pieno titolo nella cosiddetta "filosofia del linguaggio", scienza che studia il linguaggio umano, naturalmente, ma anche tutti i sistemi di comunicazione, e più precisamente si interessa del rapporto tra segno e significato, che consente all’uomo di intendere e farsi intendere.
Il lavoro di Vico ha gettato sicuramente una nuova luce sulla maniera di concepire l’uomo precedente alla nascita di Cristo, anche se la Scienza Nuova, al suo tempo, non riscosse per niente successo; anzi, la Acta eruditorum di Lipsia ne fece un'anonima recensione: “Essa è acconcia al gusto della Chiesa cattolica romana, accolta più con tedio che con applausi”; il filosofo, venuto a conoscenza di tale giudizio, ne rimase disgustato: a suo avviso, la Scienza Nuova non era stata letta attentamente e per questo fu soggetta a parecchie falsificazioni: pensate che fu attribuita addirittura non a Vico, ma a un abate filocurialista. Il grande lavoro di Giambattista Vico è stato valutato positivamente dopo la sua morte; lui avrebbe desiderato tanto assistere al successo dell'opera, ma questo non è né il primo caso né sarà l'ultimo, purtroppo, di incompatibilità fra critica e autore.