Giambattista Vico e i tempi dell'uomo Giambattista Vico è stato un filosofo che ha voluto realizzare un grandissimo progetto: scopr...
Giambattista Vico e i tempi dell'uomo |
Gli scritti del passato ci permettono di conoscere com’era un tempo l’essere umano (senza dimenticare che anche attraverso l’archeologia, e non solo quindi attraverso la filologia, si possono comprendere gli uomini); prima che lui imparasse l’arte della scrittura, però, era certamente diverso da quello descrittoci: un uomo avvolto nel mistero, vissuto in un periodo buio (cioè ignoto, oscuro), al quale Vico dà il nome di "tempo degli dei". Solo grazie alle fonti del periodo successivo, il "tempo favoloso o eroico", siamo venuti a conoscenza dei fatti che sarebbero accaduti - in maniera ovviamente non certissima, a causa delle cattive traduzioni e ai colpi mancini della memoria – nell’epoca arcaica: l’uomo impara a esprimersi, a comunicare adoperando parole per farsi intendere dai suoi simili, comincia a trasformare in segni i suoi pensieri, e descrive ciò che i suoi antenati del "tempo degli dei" gli avevano tramandato. L’essere umano, perciò, è protagonista di una evoluzione fondamentale del suo modo di esprimersi: la comunicazione gestuale si trasforma in comunicazione verbale; una teoria, questa, molto cara agli evoluzionisti. Ma non basta: riesce, poi, anche a rendere in forma scritta i suoi pensieri. L’uomo, quindi, scrive i primi miti.
La mitologia è stato lo strumento mediante il quale gli uomini hanno potuto descrivere la realtà secondo il loro modo personale di percepirla. Molti antropologi e filologi credono che questi primi uomini-scrittori fossero stati gli unici a saper parlare con un linguaggio variopinto (ricco di espressioni), poetico: solo ed esclusivamente gli uomini di grande genio, quindi, erano capaci di creare dei miti stupefacenti. Secondo Giambattista Vico, invece, non c’è nulla di più sbagliato di questa concezione: il linguaggio poetico è un vero e proprio linguaggio universale, l’unica maniera di esprimersi di tutti gli uomini. I miti, per questo, non sono forzieri meravigliosi che contengono una sapienza riposta (un sapere nascosto da un linguaggio poetico difficile da decifrare), ma di una sapienza volgare, una sapienza appartenuta – in senso strettamente etimologico, quindi - a tutto il volgo: al popolo.
Nella sua opera intitolata De constantia iurisprudentiae scrive, infatti:
“L’errore consiste in questo: che si pensò sempre che la lingua poetica fosse lingua peculiare dei poeti, anziché lingua comune. La verità è invece che le lingue sono conservate dalla religione e dalle leggi. Tutti dicono che i poeti fondarono le false religioni e poi, con le religioni, le città ; affermano anche che i poeti sono stati i primi scrittori e non riconosco quello che ci sta accanto: che cioè la lingua poetica fu la prima lingua delle genti, con la quale furono fondate le loro prime leggi e le loro prime religioni”
La poesia, dunque, è la forma primitiva del linguaggio: tutti si esprimevano così, nessuno escluso. L’uomo che un tempo fu poeta, però, oggi, nel periodo denominato da Vico "tempo propriamente storico", si esprime con un linguaggio artificioso. L’essere umano ha così perduto per sempre la sua originaria e pura maniera di comunicare poetando.