Una raccolta di frasi di Dante Alighieri sulla sua Firenze, città con la quale ebbe un rapporto tormentato a causa degli avvicendamenti politici del 1301
Prima di proporvi alcuni dei versi di Dante Alighieri su Firenze, vogliamo soffermarci sul rapporto che il padre della lingua italiana ha avuto con la sua città: sappiamo che nel 1301 Carlo di Valois era stato inviato a Firenze per fare da paciere tra Guelfi bianchi e Guelfi neri e che Dante, nel frattempo, era stato inviato da Firenze a Roma, assieme a Maso Maso Minerbetti e Corazza da Signa, come ambasciatore.
Da qui inizia il tormento per il nostro autore: Dante Alighieri si trova estromesso dalla città, perché Carlo di Valois, alla prima rivolta cittadina, trova il pretesto per assediarla, fino a che, sempre nel 1301, è Cante Gabrielli da Gubbio a diventare podestà: appartenente ai Guelfi neri, questi inizia a perseguitare tutti gli avvesari politici - strenui oppositori del papa - e a condannarli all'uccisione o all'esilio. Dante, intanto trattenuto a Roma dal papa, sarà condannato in contumacia al rogo e alla distruzione della casa: non rivedrà mai più Firenze (anche se cercò più volte di rientrarvi, con la forza e per vie diplomatiche).
Da allora il poeta è un esule che scrive versi (ma anche opere in prosa) di corte in corte: è prima ospitato dai marchesi Malaspina di Villafranca in Lunigiana, per poi arrivare in Romagna, presso gli Ordelaffi, i signori ghibellini di Forlì; il peregrinare di Dante terminò a Ravenna, dove fu ospitato da Guido Novella da Polenta e morì il 14 settembre del 1321 di ritorno da un'ambasceria a Venezia, per via della malaria.
Potete sfruttare i seguenti versi dell'Alighieri su Firenze, per proporre la vostra frase su Facebook o su qualsiasi altro social network e non solo, ovviamente citando l'opera:
Frasi di Dante Alighieri su Firenze nell'Inferno
E come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna:
per che non dee parer mirabil cosa
ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa. (Inferno XVI, 82-87)
Godi, Fiorenza, poi che se' sí grande,
che per mare e per terra batti l'ali,
e per lo 'nferno tuo nome si spande!
Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali. (Inferno XXVI, 1-6)
La gente nova e' subiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sí che tu già ten piagni (Inferno XVI, 73-75)
Frasi di Dante Alighieri su Firenze nel Purgatorio
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
di questa digression che non ti tocca,
mercè del popol tuo che si argomenta.
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio all'arco;
ma il popol tuo l'ha in sommo della bocca. (Purgatorio V, 127 - 132)
Sanz'arme n'esce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
Sí ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto piú grave,
quanto piú lieve simil danno conta. (Purgatorio X, 73 - 78)
Frasi di Dante Alighieri su Firenze nel Paradiso
Fiorenza dentro dalla cerchia antica,
ond'ella toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona,
non gonne contigiate, non cintura
che fosse a veder piú che la persona. (Paradiso XV, 97-102)
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
sí come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto; e le vite son corte.
E come 'l volger del ciel della luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
cosí fa di Fiorenza la Fortuna. (Paradiso XVI 79 - 84)
Ma conveníesi a quella pietra scemache guarda 'l ponte che Fiorenza fesse
vittima nella sua pace postrema.
Con queste genti e con altre con esse,
vid'io Fiorenza in sí fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse. (Paradiso XVI, 145 - 150)
Da indi sí come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi vene
a vista il tempo che ti s'apparecchia.
Qual si partío Ippolito d'Atene
per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene. (Paradiso XVII, 43 - 48)
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sí fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi;
sí che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno. (Paradiso XXIX, 103 - 108)