Guida al pensiero e allo stile poetico di Vittorio Alfieri, dalle ideologie politiche al processo di creazione artistica
Il pensiero di Vittorio Alfieri, in particolare le sue idee politiche e la concezione dell’uomo, determina una parte della sua poetica tragica e lirica.
Il suo è un pensiero non organico, più dominato da impulsi e da un odio generico che non costruito secondo precise ragioni filosofiche. Alfieri rifiuta la situazione che vive, quella piemontese, per la sua mancanza di dinamismo e la sua situazione stagnante e rigida. Da Montesquieu, Voltaire e Rousseau, ossia dai più importanti illuministi francesi, deriva il culto della libertà e l’odio per la tirannide, intesa come forma politica dispotica e non discussa con quelle che oggi potremmo chiamare le parti sociali.
Così pure, la libertà è per lui un concetto astratto e senza precisazioni, un bisogno di realizzarsi in modo integrale; la libertà è da intendersi come superiorità spirituale rispetto agli altri esseri umani. Infatti, l’io ha bisogno di imporsi sulle altre forze, di far emergere il proprio individualismo eroico. Il termine per definire tale sentimento è “titanismo”, un atteggiamento di ansia di infinito, di lotta contro tutto e contro tutti, di opposizione ai limiti e di tensione verso ciò che è sovraumano. Il titanismo, che evoca il mito dei titani che si ribellarono a Zeus, è sintomo di una sensibilità che potremmo definire preromantica, e proietta Alfieri all’interno della nuova nascente cultura europea.
Il pessimismo di Vittorio Alfieri
Resta inteso, però, che la sconfitta è inevitabile, poiché non è possibile che un io sovraumano si possa realizzare pienamente e trovi soddisfazione, che per altro non è compatibile con il suo stato. Da ciò deriva il pessimismo attribuito ad Alfieri, imperniato attorno alla drammatica coscienza dei limiti umani e alla consapevolezza finale che il nemico a volte non è esterno, ma lo stesso io: tale idea sarà espressa compiutamente nel Saul, in cui il protagonista non deve combattere in realtà con nessuna entità esterna, ma piuttosto con i fantasmi della pazzia che agitano la sua mente e che gli impediscono di riconoscere la bontà di David, che lo vuole aiutare, e la drammaticità della situazione della guerra.
Lo stile di Vittorio Alfieri
La scrittura tragica è vissuta da Alfieri come scopo della vita, così come è chiaramente espresso nella sua autobiografia, la Vita scritta da esso. Nella tragedia si esprime compiutamente il titanismo e la grandezza degli eroi, gli unici degni di essere rappresentati secondo le idee dell’autore. È stato spesso notato che nei suoi eroi Alfieri esprime e rappresenta se stesso, come è per altro chiaramente testimoniato dall’abitudine e dal desiderio dell’autore di recitare le sue stesse opere come protagonista nei salotti degli amici e degli intellettuali. Oltretutto, la stessa scrittura è un sfida che rende grandi e a cui Alfieri si dedica con un fervore appassionato. Osservando la letteratura a lui coeva, l’autore critica la tragedia francese, troppo lenta e fredda, e stabilisce che la struttura del dramma deve essere semplice, con pochi personaggi; lo stile deve essere conciso, caratterizzato da battute anche brevi, che allontanino l’idea del canto, proprio invece dell’epica. Ancora, lo stile deve essere anche spezzato; ciò si ottiene rifiutando l’ordine tradizionale delle parole e evitando l’utilizzo di endecasillabi con lo stesso schema ritmico.
È opportuno ricordare che i testi di Alfieri sono destinati più alla lettura pubblica che a una reale rappresentazione scenica; essa tuttavia avveniva, in rappresentazioni private. Alfieri rifiuta il teatro contemporaneo di svago, e intende piuttosto la messa in scena come una funzione civile in cui l’autore può esprimere il proprio pensiero.