Riassunto del capitolo VIII del Principe di Machiavelli con commento e analisi dei temi e dei personaggi più importanti: preparati così all'interrogazione e ai compiti in classe!
Oggi ci occupiamo del riassunto
del capitolo VIII de Il Principe di Niccolò
Machiavelli: vi forniremo non soltanto una sintesi accurata - come abbiamo già fatto, del resto, per altri capitoli del trattato -, ma anche un commento e un'analisi che vi permetteranno di affrontare nel migliore dei modi compiti in classe e interrogazioni di vario genere (sapete bene che le domande possono essere tante e che quindi è meglio tenersi pronti a tutto: senza ansia, però!). Veniamo subito al dunque, partendo da una sintetica introduzione.
L'ottavo capitolo del Principe tratta di
coloro che sono pervenuti al principato attraverso le
sceleratezze, nefandezze e spregiudicatezze. Riagganciandosi –
come suo solito - al quadro generale dell'opera, nel quale ogni
argomento trattato, capitolo dopo capitolo, trova una posizione
sensata e armoniosa, Machiavelli spiega che se un principe non è
né virtuoso né fortunato deve necessariamente tentare il tutto
per tutto per acquisire e mantenere il suo principato, oltraggiando
persino la morale. Seguono due esempi, uno ripescato dalla storia
antica e uno dalla storia moderna.
Approfondisci: sfoglia i nostri temi svolti e leggili per prepararti al meglio
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Agatocle di Siracusa nell'ottavo capitolo del Principe
Agatocle di Siracusa ebbe fama
di compiere ogni tipo di scelleratezza, fin dalla nascita; quando poi
accompagnò questa sua attitudine al male con delle virtù militari
ottenne il ruolo di pretore. Avendo, tuttavia, il proposito di
divenire il signore indiscusso di Siracusa, e vedendo nel senato
cittadino e nell'alta aristocrazia un intralcio ai suoi disegni, in
comune accordo con Amilcare cartaginese
fece radunare tutti gli esponenti della classe senatoria e gentilizia
al suo cospetto, come se avesse dovuto comunicare importanti delibere
per le quali fosse richiesta l'approvazione degli organi
istituzionali; ad un suo cenno, invece, tutti gli astanti furono
trucidati dalle sue milizie. Con un vero e proprio colpo di
Stato abietto e balordo
Agatocle si prese per sé ciò che né il destino né il talento gli
avrebbero donato.
Machiavelli
non prende una posizione indignata contro questo modo amorale di fare
politica: tutt'altro; la frase che segue il racconto, anzi, è una
sentenza con una venatura decisamente positiva - che
parafrasiamo per comodità:
Agatocle ottenne il desiderato principato con un colpo di spazzola,
sventando una qualche lunga e dissanguante controversia civile. Segue
quindi un riepilogo dei suoi vanti militari. Protesse la sua città
da due assedi dei Cartaginesi e, quando passò all'offensiva,
condusse Cartagine – seconda città dopo Roma per potere politico e
militare - ad una rovinosa indigenza. L'autore chiude poi la vicenda
con un paragrafetto riassuntivo nel quale esalta il ruolo decisivo
dei gradi militari
nel raggiungimento dei propri obiettivi, specie se il destino è
stato ingeneroso. Anche se il modo di agire di Agatocle fu senza
dubbio efficace ed esemplare, non lo si può annoverare tra le vite
illustri e virtuose perché ancora
la scelleratezza non è un valore da celebrare.
Alessandro VI: secondo esempio del trattato Il Principe, VIII
Ma continuiamo con il secondo esempio in questo riassunto con commento del trattato Il Principe, VIII:
Il
secondo esempio citato, più recente, è quello di Alessandro
VI. Nato col nome di Oliverotto
Firmiano, fu allevato dallo zio
materno Giovanni
Fogliani (secondo l'usanza per
i figli ancora minorenni rimasti orfani di padre) e affidato a Paolo
Vitelli affinché percorresse
la carriera militare. In poco tempo si distinse per il suo valore e
il suo ingegno; stimandosi in diritto di ottenere dalla vita molto di
più che qualche inane medaglia al valore o superfluo onore militare,
con la complicità di altri cittadini di Fermo
e il beneplacito dei Vitelli pianificò una strategia per ottenere il
governo sulla città. Scrisse quindi allo zio affinché lo ricevesse
nella sua città natale, Fermo, perché testimoniasse coi suoi stessi
occhi increduli la grandezza raggiunta da suo nipote; per fargli un
impressione ancora più grandiosa chiese di poter entrare nella città
scortato da cento cavalieri in gran pompa, vanto quasi trionfale
che sarebbe – a suo dire - ricaduto innanzitutto sullo zio
Giovanni.
Quando
giunse in città fu quindi alloggiato nella casa dello zio, nel
mentre che apparecchiava la sua più grande scelleratezza - un
capolavoro di fraudolenza e perversità: una cena,
con tutti gli esponenti del potere locale, potenziali competitors
e lo stesso zio, al termine della quale i convitati avrebbero
imparato a conoscere a loro spese la natura ferina e determinata di
Alessandro. Nel momento in cui questo prese a parlare di Alessandro
Borgia e del figlio Cesare in termini elogiativi - suscitando ad arte
l'indignazione degli ospiti che avevano in avversione il papato dei
sanguinosi Borgia - lo zio Giovanni lo invitò a continuare il
discorso in un luogo più appartato. Quando questi uscirono dalla
sala da pranzo, i soldati di Alessandro su segnale concordato
irruppero nel palazzo e massacrarono tutti i notabili di Fermo e lo
zio. Cinse poi a cavallo l'intero edificio e poi la città,
riportando tutti i cittadini, nobili e non, sotto il suo comando;
costituì quindi un governo della città secondo la forma del
principato retto,
ovviamente, da lui. Si ritagliò così una fetta di potere che seppe
mantenere infondendo un tirannico terrore ai sottoposti.
L'ingannatore chiuse infine la sua parabola ingannato: Cesare
Borgia gli tese un'imboscata –
la cosiddetta "trappola di Senigallia"
– nella quale Alessandro venne strangolato.
Approfondisci: leggi il nostro saggio breve svolto su Machiavelli per prepararti ai compiti in classe
Approfondisci: leggi il nostro saggio breve svolto su Machiavelli per prepararti ai compiti in classe
Commento e analisi dell'VIII capitolo del Principe
Veniamo ora al commento vero e proprio del capitolo numero 8 del Principe: con
una chiusa sentenziosa Machiavelli spiega in quali modi le
nefandezze sono impiegate per il bene e quando per il male.
Sono usate bene (saggiamente) quando le si circoscrive al solo
periodo di gavetta, durante il quale si convertono in attrezzi
affilatissimi utili per afferrare un potere che altrimenti si sarebbe
potuto solo sognare; ma una volta seduto sullo scranno del vincitore,
lo scellerato deve saper mettere da parte le infide armi e
assicurarsi il rispetto dei sudditi attraverso maniere più decorose
e onorevoli. Al contrario, chi strafà con le diavolerie a lungo
termine si trasforma in un sadico mostro, che nel giro di poco tempo
diverrà vittima di una congiura.
Quando poi un occupatore vuole impegnare uno stato con le sue milizie, deve passare in rassegna tutte le scelleratezze necessarie per assicurarsi stabilità di potere, e lo deve fare nel breve periodo in cui si sostituisce al precedente regnante, ora scalzato; dopodiché dovrà deporre una volta per tutte i ferri del mestiere. Se per timidezza o per falsa coscienza si face scrupoli a porre in essere subito ciò che, secondo Machiavelli, è necessario per garantirsi una base di potere, e procrastinasse tutto a futuri tempi di pace, mostrerebbe ai nemici la sua debolezza e darebbe loro un pretesto per conglomerare i nobili in una rivolta, perché le iniure si debbono fare tutte assieme, acciocché, assaporandosi di meno, offendino meno.
Approfondisci: consulta tutti i nostri riassunti di letteratura italiana per ripetere bene e velocemente
Quando poi un occupatore vuole impegnare uno stato con le sue milizie, deve passare in rassegna tutte le scelleratezze necessarie per assicurarsi stabilità di potere, e lo deve fare nel breve periodo in cui si sostituisce al precedente regnante, ora scalzato; dopodiché dovrà deporre una volta per tutte i ferri del mestiere. Se per timidezza o per falsa coscienza si face scrupoli a porre in essere subito ciò che, secondo Machiavelli, è necessario per garantirsi una base di potere, e procrastinasse tutto a futuri tempi di pace, mostrerebbe ai nemici la sua debolezza e darebbe loro un pretesto per conglomerare i nobili in una rivolta, perché le iniure si debbono fare tutte assieme, acciocché, assaporandosi di meno, offendino meno.
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Questo
era il riassunto del
capitolo ottavo del
capolavoro Il Principe: sicuramente vi servirà per prepararvi al meglio. Buono studio!
La foto è tratta da Pixabay.com
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