Ecco le regole di lettura del latino: imparate queste tre leggi - del trisillabismo, della baritonesi e della penultima - per non sbagliare mai!
È arrivato il momento di passare in rassegna le regole di lettura del latino per quanto concerne l'accentazione. Tali regole - per comprendere le quali vi consigliamo di leggere anche questo approfondimento - consistono in tre leggi che dovete assolutamente imparare, altrimenti non imparerete mai a leggere adeguatamente e il docente più severo inizierà a sbuffare al primo errore (vi assicuro che il mio esame di letteratura latina mi è valso un 28 per due verbi sui quali non avevo posto correttamente l'accento).
Legge della baritonesi
Vediamo dunque in cosa consistono queste regole di lettura del latino e nella fattispecie le tre leggi da rispettare. L'accento non può mai cadere sull'ultima sillaba. In latino
insomma non esistono parole tronche, o per dirla con un termine caro
alla linguistica (e alla grammatica greca) parole ossitone. Questa è la legge della baritonèsi.
Legge del trisillabismo
L'accento non può mai cadere oltre la terzultima sillaba, per la legge del trisillabismo. In latino, contrariamente alla lingua italiana, non esistono parole bisdrucciole, ovvero accentate sulla quartultima sillaba.
Legge della penultima
Nelle parole di tre o più sillabe l'accento è determinato dalla quantità della penultima (legge della penultima):
1. Se la penultima sillaba è lunga, l'accento cade su di essa;
2. Se la penultima è breve, l'accento cade sulla terzultima.
Vediamone alcuni esempi:
PERVĒNIT (pr. PERVÈNIT = pervenne)
PERVĔNIT (pr. PÈRVENIT = perviene)
PRAECIPĬTANT (pr. PRECÍPITANT = precipitano).
Legge delle enclitiche
C'è poi un'ulteriore regola che va sotto il nome di legge delle enclitiche. Esistono infatti in latino particelle enclitiche (e proclitiche) prive di accento.
Le
enclitiche (come le congiunzioni -que = e, -ve =o; le particelle
interrogative -ne, -nam; i rafforzativi -ce, -dem, -met, -te, -pse) non solo
si appoggiano alla parola precedente, ma si uniscono graficamente; in
tal caso l'accento della parola risultante cade sempre – stando alla
testimonianza di grammatici antichi – sulla penultima sillaba, indipendentemente dalla sua quantità: ARMÀQUE (da ARMĂ+QUE), DICİSNE (da DICĬS+NE).
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Se tuttavia l'enclitica si è fusa strettamente con la parola
precedente, così da costruire una nuova parola, tornano valide le leggi
generali dell'accento: per esempio, ÉĂDEM.
Questa regola vi tornerà utile in moltissime occasioni, dal momento che tali particelle si riconoscono all'istante a furia di tradurre. Molto più difficile invece sarà individuarle qualora ricorrerete alle traduzioni precotte di Internet, quindi bando alla pigrizia!
Le parole apparentemente tronche
Inoltre, risultano apparentemente tronche quelle
parole che hanno perduto l'ultima sillaba in seguito ad apocope o troncamento e mantengono l'accento su quella che era la penultima
sillaba lunga, prima che avesse luogo il fenomeno: ILLÌC (da ILLĪCE); ILLÙC (da ILLŪCE); ARPINÀS (da ARPINĀTIS).
Infine, le parole straniere
conservavano talvolta l'accento originario; talvolta, specie in epoca
repubblicana, si adeguavano alle norme dell'accento latino.
Adesso sapete quali sono le fondamentali regole di lettura del latino con le sue tre leggi da rispettare. Sappiate infine che un'ottima lettura della lingua latina può rivelarsi decisiva per la comprensione dei testi e soprattutto delle versioni!